La Fontana delle Tette di Treviso: tra pudore, vino e libertà

Nel cuore di Treviso, protetta da un angolo discreto di Corte Cà da Noal, c’è una piccola statua che sembra uscita da una leggenda popolare, ma è quanto mai reale. Si chiama Fontana delle Tette e, come suggerisce senza troppi giri di parole il suo nome, è una donna di pietra che spruzza acqua — un tempo vino — dai seni.

Per molti è un dettaglio pittoresco da fotografare in un pomeriggio di visita. Per altri è una provocazione scolpita. Ma questa statua è molto di più: è una testimonianza viva della cultura veneta, delle sue usanze, del suo modo diretto e senza ipocrisie di guardare alla vita. È il simbolo di un’epoca in cui il potere cercava, almeno per pochi giorni all’anno, di farsi generoso col popolo. E anche un modo tutto trevigiano di dire che la vita, dopotutto, va celebrata con un buon bicchiere di vino.

Un seno per il rosso, uno per il bianco

La Fontana delle Tette venne realizzata nel 1559, durante la Repubblica di Venezia. La città di Treviso era sotto il dominio della Serenissima e il podestà, Alvise Da Ponte, volle celebrare la sua nomina con un gesto simbolico e generoso. Ordinò la costruzione di una statua che rappresentasse una donna a seno nudo, dalla quale sgorgassero vino bianco e rosso, a beneficio della popolazione.

Per tre giorni, ogni volta che un nuovo podestà veniva insediato, la fontana veniva “riattivata”: vino bianco da un seno, rosso dall’altro. Chiunque poteva bere liberamente. Non servivano calici d’argento o permessi nobiliari. Bastava tendere una coppa, una tazza o anche solo le mani. Era una festa popolare, un momento in cui il potere si mostrava vicino al popolo con qualcosa di concreto — e decisamente gradito.

Un rito quasi pagano, ma carico di significati: la donna come figura materna e generatrice, che nutre, che dona. Il vino come simbolo di allegria, comunità, abbondanza. E poi, ovviamente, un pizzico di ironia veneta che non guasta mai.

Un’icona sopravvissuta ai secoli

L’originale della statua — che oggi si trova protetta all’interno del Palazzo dei Trecento — ha resistito a guerre, governi, moralismi e intemperie. Oggi nella Corte Cà da Noal, nel centro storico di Treviso, si può ammirare una copia perfetta, sempre pronta a zampillare acqua dalle sue mammelle tonde e generose.

In un mondo dove l’arte pubblica spesso cerca di essere neutra e pulita, la Fontana delle Tette resta un inno al corpo, alla fertilità, alla gioia di vivere. E soprattutto alla verità: quella che non nasconde il desiderio, la fame, la sete. Non a caso, non è difficile sentire qualche turista ridacchiare davanti alla statua, mentre i trevigiani, abituati da secoli, ci passano accanto con un sorriso sotto i baffi.

Tra pudore e orgoglio

Nel corso del tempo, la statua è diventata oggetto di discussione. Alcuni l’hanno considerata volgare, altri una vergogna da nascondere. C’è stato chi ha proposto di spostarla o addirittura di rimuoverla. Ma ogni volta, la città ha risposto con un gesto semplice: lasciandola dov’è.

Perché la Fontana delle Tette non è uno scherzo da osteria. È un pezzo di identità. È Treviso che parla senza filtri. È la testimonianza che, anche nei secoli bui, qualcuno aveva capito che il popolo va anche dissetato, non solo governato.

E poi c’è qualcosa di profondamente femminile in questa scultura. Non solo nei tratti del corpo. Ma nell’idea di abbondanza, di generosità, di forza tranquilla. La donna che dà da bere al suo popolo non è una figura passiva: è regina, è madre, è spirito della città.

Riti moderni e calici pieni

Nel 2008, per celebrare la storia della fontana, Treviso ha voluto riprendere la tradizione. Durante alcuni eventi pubblici, per pochi giorni all’anno, dalla fontana zampilla davvero vino. In un tripudio di allegria e selfie, i trevigiani e i turisti si mettono in fila per un bicchiere. E quella che era una leggenda diventa esperienza.

Non è solo folclore: è memoria viva. È il modo in cui una città si ricorda chi è, e da dove viene. Anche se oggi il vino non scorre più regolarmente come un tempo, la fontana resta un simbolo visibile e concreto di una cultura che ha sempre saputo unire la bellezza all’irriverenza, la sacralità alla festa.

Dove trovarla (e come guardarla)

La Fontana delle Tette si trova oggi in Corte Cà da Noal, una piccola corte interna tra via Calmaggiore e Piazza dei Signori. Per trovarla serve un minimo di attenzione: non è in bella mostra come una classica attrazione turistica. È lì, un po’ nascosta, quasi a voler essere scoperta solo da chi la cerca davvero.

Questo dettaglio non è casuale. È come se la città volesse dire: “Guarda, ti racconto un segreto”. E infatti, trovarla per caso è difficile. Ma quando la si incontra, il colpo d’occhio è garantito.

Chi la guarda per la prima volta resta spesso sorpreso. Poi scappa un sorriso. Poi, magari, una foto. Ma se si riesce a fermarsi un minuto in più, si capisce che questa piccola fontana racconta qualcosa di più grande: l’idea di una città viva, che non ha paura del corpo e della gioia. Una città che ha saputo unire l’arte, la tradizione e il vino in un solo gesto.

La statua e il suo messaggio oggi

Viviamo in tempi in cui tutto deve essere spiegato, filtrato, regolato. La Fontana delle Tette invece parla un linguaggio diretto. Non c’è bisogno di audioguide o pannelli informativi. Ti guarda, ti spruzza addosso (acqua o vino, a seconda della fortuna) e ti dice: “Goditi la vita, senza troppi pudori”.

Forse è proprio questo il segreto del suo fascino: non ha perso la sua voce nei secoli. Nonostante i restauri, le copie, le censure e le risate, la statua è ancora lì a fare il suo lavoro. E se oggi spruzza solo acqua, pazienza. Il messaggio resta intatto: un invito a festeggiare, a condividere, a vivere senza troppa serietà.

Una conclusione col sorriso

A Treviso c’è una donna di pietra che non ha mai smesso di versare. Ha visto passare podestà, vescovi, soldati, turisti, scolaresche e influencer. Ha resistito alle mode e ai moralismi. E se potesse parlare, probabilmente direbbe solo due parole: “Bevi, vivi”.

E magari, aggiungerebbe con un sorriso malizioso: “E non vergognarti di niente”.

Articoli consigliati