Ciao: una parola nata serva, diventata regina

C’è una parola che usiamo ogni giorno, senza pensarci troppo. La diciamo entrando in ufficio, salutando il barista, scrivendo un messaggio o rispondendo a una videochiamata. Una parola semplice, universale, italiana al 100% e ormai adottata dal mondo intero: CIAO.

Ma questa parola così disinvolta, così allegra, così… casual, in realtà nasce in tutt’altro contesto. Anzi, nasce con la testa bassa. Umile. Servile, per la precisione.

Sì, perché il nostro “ciao” discende direttamente da un’espressione in dialetto veneziano: s’ciavo vostro. Tradotto: “(sono) vostro schiavo”. Un modo usato tra il ‘500 e l’‘800 per salutare con deferenza, per dimostrare rispetto e sottomissione, tipico della cortesia formale del tempo. Ma attenzione: non si parlava di schiavitù in senso moderno. Era più un galateo d’altri tempi, una formula cerimoniosa simile al francese “votre serviteur”.

Ora, immagina Venezia nel Settecento: calli affollate, mercanti, gondole, odore di spezie e salmastri. E tra la gente, i saluti volano: “S’ciavo!”, “S’ciavo vostro!” – che, a forza di ripetersi, iniziano a perdere pezzi. Un po’ per fretta, un po’ per consuetudine, si contraggono: s’ciavo… poi s’ciao… e infine, eccolo lì: ciao.

Dal veneziano al resto del Nord Italia il passo è breve. Nel giro di qualche decennio si sente a Milano, poi a Torino, poi a Bologna. Ma è nel Novecento che il “ciao” spicca davvero il volo: prima nei salotti borghesi che amano la parlata elegante del Nord, poi nelle trincee della Prima guerra mondiale — dove i dialetti si mescolano e si contaminano — e infine, nel dopoguerra, nella nuova Italia unita. È il saluto del popolo, informale, diretto, democratico. Nessun “buongiorno”, nessun “signore”, solo un “ciao” che va bene per tutti: ricchi e poveri, bambini e adulti.

Il colpo di grazia alla sua fama lo dà la cultura pop. Le canzoni di Lucio Dalla, il “Ciao, ciao bambina” di Modugno, e poi lui: Ciao, la mascotte di Italia ‘90, quel pupazzo a cubetti che salutava il mondo intero con una mano alzata.

E oggi? Oggi il “ciao” è ovunque. È la prima parola che molti stranieri imparano in italiano. È entrata nel vocabolario inglese, tedesco, spagnolo, giapponese. È diventata il saluto per eccellenza nelle chat, nei post, nei selfie. Eppure pochi sanno che quel ciao così leggero porta con sé cinque secoli di storia, e il peso curioso di una frase che una volta significava “sono tuo schiavo”.

Ironia della lingua: una parola nata per mettersi al servizio è diventata padrona del saluto. E da Venezia ha conquistato il mondo. Senza fare rumore. Solo con un sorriso.

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